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elle contrade il lavoro si svolgeva nelle masserie; vi si concentravano gli uomini, si ammassavano i raccolti, si lavoravano i prodotti. Spesso si dormiva nei pagliai, attaccati a magazzini e stalle.

La giornata da lavoro durava dall’alba al tramonto, “di suli in suli” e i lavoratori popolani erano jurnatari (a giornata), zappaturi, metituri, vindimmiaturi, vaccari, pasturi, burdunari (mulattieri che trasportavano i prodotti), lavoratori alle dipendenze di nobili o Borgesi.

E le donne?

Nei Casali inglobati nelle campagne, dove tanti uomini uscivano, verso i campi, dalle loro case, dalle loro Rughe, agglomerati di case, avanti il sorgere del sole, le donne erano al centro della vita sociale, popolavano le strade, andavano a tessere le relazioni, a regolare i ritmi della vita e della morte.

I documenti lo confermano, con molte donne capofamiglia.

Nelle due annate dei Riveli che abbiamo esaminato, pagina per pagina, 3.642 pagine, troviamo che, nel 1607, 192 donne sono capo famiglia su 642 famiglie, e cioè il 30% e, nel 1624, sono 63 su 229, il 27,5 %.  Non a caso nomi di vie e contrade fanno riferimento a donne: “Della Scala di Donna Cola”, “Ruga di Mareta”, “Ruga Della Zingara”; “Ruga Della Causara”; “Del Fico di Vennira”, “Della Mottisa” “Femmina morta”.

Insomma, nelle famiglie, dove gli uomini ritornavano, nel migliore dei casi, la sera, le donne avevano funzione sociale come guaritrici, levatrici, sensali di matrimonio, produttrici di reddito.

L’onore del maschio di famiglia si diceva offeso dal lavoro esterno delle donne, ma quando il lavoro era abbondante per tutti, ogni remora cadeva. Lavoravano, e non solo in campagna, le donne misterbianchesi. Nella Sicilia della seta e del lino il ruolo delle donne era, poi, più inserito nelle attività esterne di quelle del latifondo granario.

Ma non esageriamo, anche allora la condizione femminile era un prisma dalle molte facce; “bizzocche”, monache di casa, suore, vengono da famiglie ricche, che le destinano a questa vita, a volte scelta, ma molte altre subita.

E la contrada Femmina morta ci racconta qualcosa?

Le donne erano protagoniste della vita economica e sociale, attraverso i lavori della seta e del lino.

Ma alcuni lavori erano duri, molto duri.

Se il lino, coltura diffusissima, richiedeva impegno maschile e femminile, la seta, che sarà un attività crescente, poi, nel nuovo Misterbianco nel 1700, gravava molto sulle donne.

Una pratica secolare era quella del nutricato: le donne allevavano i bachi per la seta alimentandoli con le foglie dei gelsi, tenendoli al caldo anche in seno fino a quando la farfalla non lasciava il bozzolo. Per questi bachi, da cui dipendeva molto del bilancio familiare, si faceva qualsiasi sacrificio, anche dormire per terra per lasciare spazio ai graticci, nel fetore tremendo.

Il lavoro annuale con i bachi iniziava alla fine di marzo.  “P’a Nunziata ’u vermu nta frazzata” recitava un proverbio antico, indicando nel 24 marzo, data della Annunciazione, il momento in cui le uova del baco erano messe al caldo, sotto la coperta. Ma spesso la frazzata non si usava affatto e le donne, appunto, mettevano le uova in seno, le covavano, quasi in un gesto di maternità. Dopo la schiusa, i vermi venivano posti nei cannizzeddi, graticci di canne. Alla fine del nutricato, verso la fine di giugno, il baco iniziava a imbozzolarsi e la schiusa avveniva dopo quaranta giorni, alla fine di aprile.

“Quaranta iorna durò ’a me la mala vita/ curcata ’nterra e tutta strapazzata chi cuvirnava u vermu di sita/cridia chi m’arricchia st’annata/dopo quaranta iorna mi murivu/e mi lassau la casa cacata. Cummari comu va lu vostru vermu?…”. “Quaranta giorni durò la mia vita difficile, coricata a terra e tutta strapazzata/perché governavo il baco da seta/credevo di arricchirmi quest’anno/Dopo quaranta giorni mi morì e mi lasciò la casa cacata/Comare come va il vostro verme?”.

Le donne dell’Antico Misterbianco rompono gli stereotipi e non consentono di crearne di nuovi.