N
el 1647 rivolte coinvolgono l’intera Sicilia, mentre la rendita delle terre raggiungeva i livelli più bassi per la “crisi generale” e le carestie di quegli anni. Si chiedeva di abbassare il prezzo del pane ma anche l’abolizione delle gabelle e la maggiore partecipazione del popolo al governo delle città.

Rivultusi – opera di Antonino Portale

La Sicilia delle seta

In molti centri orientali dell’isola, nella “Sicilia della seta,” ci si rivoltò in particolare perché fosse abolita la gabella della seta, una mannaia che generava ricchezze ingenti.

Si chiese dunque l’abolizione delle gabelle e una migliore distribuzione delle risorse alimentari ma fu anche forte la richiesta perché fossero reincorporati, nel territorio della città, i casali, venduti a feudatari.

Le rivolte svelano alleanze di gruppi sociali diversi che si compattano attorno a interessi comuni:

controllare l’uso delle risorse alimentari

allargare la base sociale della partecipazione politica

chiedere una collocazione demaniale a fronte di una feudale.

Il 6 Agosto 1646 è l’inizio delle rivolte: Messina prima, Palermo dopo

Per affrontare il problema, la corte spagnola decide che le forme di pane si riducessero a parità di prezzo.

È la spinta finale.

A Palermo, il 20 maggio del 1647 una folla esasperata cerca di incendiare il Palazzo senatoriale, al grido corale di “fora gabelle e malo governo”.

Il Viceré accoglie alcune richieste, tra cui la soppressione delle gabelle e le rivolte sembrano placarsi.

Ma nel mese di agosto, le rivolte riprendono con un’impronta diversa.

Gli artigiani delle Corporazioni, con a capo Giuseppe D’Alessi e gli intellettuali, si contrappongono alla nobiltà.

L’abolizione della gabelle

Chiedono la partecipazione al governo e l’abolizione delle gabelle sui generi di prima necessità.

Ma non solo.

Chiedono anche una razionale gestione delle risorse e una apertura alle maestranze dei livelli di governo più elevati delle città.

Tali richieste segneranno l’espansione delle rivolte nell’intera Sicilia.

Con le rivolte si chiede una svolta, non solo pane

La rivolta si sviluppa a Misterbianco nei primi giorni di giugno del 1647: si chiede una svolta, non solo pane, appunto.

Le vicende dei casali di Catania mostrano come in alcuni centri da poco feudalizzati, con il modello palermitano della rivolta, si cerchi di riportare le “Terre” nel demanio, tradizionale identità di quei luoghi.

È il caso di Misterbianco.

Conosciamo tutto dai documenti in nostro possesso e che riportano tutti i punti di vista dei protagonisti.

I “capipopuli” 

Vespasiano Trigona, in una lettera al Viceré, da Camporotondo dove era fuggito, racconta come fu costretto a sospendere le gabelle  senza che i rivoltosi si placassero.

E racconta anche come questi, impugnando delle pietre, gli chiedessero di nominare i due ”capipopuli”, Gioacchino Di Mascali e Domenico Condurella, come “giurati popolari”.

Anche i giurati incalzano il Viceré in una serie di lettere.

Nella lettera del 18 luglio, i due giurati popolari Di Mascali e Condurella chiedono al Viceré conferma della nomina ricevuta.

La nomina conferiva loro prestigio e autorità in quella situazione  particolarmente grave.

Vi sono posizioni diverse tra i misterbianchesi

La lettera afferma, inoltre, che vi sono posizioni diverse tra i misterbianchesi e che è prevalente il voler essere demanio.

Lo scontro non è solo con Trigona, ma con il mercante genovese Giovanni Andrea Massa, diventato feudatario di molti casali e curatore degli interessi di Trigona.

Il 18 luglio, Di Mascali e Condurella spiegano che l’arresto di Scuderi è fatto per intimidire un importante esponente dello schieramento che voleva riportare Misterbianco nel territorio di Catania.

Dicono che l’arresto innesca tensioni e, a nome dell’intera cittadinanza, chiedono al Viceré che ordini a Massa di scarcerare Scuderi e “per l’avenire, non si fraponga con l’afari di questa Terra”.

Dello scontro parlano le lettere di  Massa, del 19 luglio.

Rilevante è una lettera del 20 luglio

I giurati Giuseppe Scuderi, Nicolao Dafuso, Agostino Di Mascali e Luciano Scoderi chiedono al Viceré l’invio di un “ministro “… per esplorare la volontà libera di questi populi” sul destino dell’Università (città)”.

Insomma, sembrano certi che la maggior parte della popolazione sia con loro per il reintegro a Catania.

Nella stessa lettera, i giurati tornano ancora su Giovanni Andrea Massa, che minacciava di inviare “quantità di cavalli e soldati”.

Dichiarano che a Misterbianco, Massa era considerato un nemico della Terra, sempre mosso da interessi economici.

Chiedono al Viceré di ordinargli “che non sia più per inquietarne, né per l’avvenire si voglia inserire con li fatti di questa Terra, così publici come privati, per esser … sospetto e sospettissimo”.

Cessano le rivolte. E poi?

Poi si torna alla “quiete”, alla “normalità” e non solo a Misterbianco.

La tensione lascia spazio alla reimposizione delle gabelle.

A Catania le divisioni dei ceti medi, che in parte si alleano ai nobili in un complesso rapporto, porteranno a soffocare i movimenti popolari.

Ami Misterbianco e vuoi conoscere la sua storia?

Oppure sei appassionato di storia siciliana?

Consulta anche da qui

Consulta anche da qui

La Storia

I Ritratti di Città

Il Ritratto interattivo

I Racconti

Gli autori

I Partner che hanno contribuito al progetto 

I Partner che hanno contribuito al progetto 

NB: ASP T.R.P. Riveli b. 1316 del 1624 e del 1607 sono stati utilizzati su concessione del Ministero per i beni e le attività culturali. Gli originali si trovano presso la Soprintendenza archivistica della Sicilia – Archivio di Stato di Palermo; copie all’Archivio Storico di Misterbianco.