C’
era un tempo, il Basso Medioevo, in cui forse sorgeva un misterioso monastero tra i boschi, in luoghi di forte suggestione della nostra area.
“Monastero Bianco” è il nome di una contrada, in documenti trovati del XIV secolo “Contrata Monasterii Albi” o “contrata Ecclesie Sancte Marie de Monasterio Albo” oppure contrata Sancte Marie de Monasterio Albo”.
Nei documenti trecenteschi ritrovati il nome della contrada sembra materializzare l’esistenza di un monastero, che avvierebbe una Storia durata quasi un millennio, fino a noi.
Un nome: “Monastero bianco”.
Ma quando nacque?
E da chi?
Il dilemma si è trascinato nel tempo, perché non si trovano documenti a darne chiara testimonianza.
Il più antico autore, Padre Antonino Bruno Licciardello è netto
Scrive: “quando ed in qual modo la comune di Misterbianco abbia avuto la sua origine s’ignora o almeno non è nella mia cognizione”.
In “Misterbianco nella Storia”, Alfio Longo, è invece molto analitico e sviluppa pagine e pagine: “a Misterbianco non esisteva nessun convento come lo possiamo dimostrare dagli elenchi che pubblichiamo in appendice, rilevati sia dai Benedettini sia dai Dominicani”.
Da qui nasce una prima idea.
Il termine “monastero” potrebbe non necessariamente riferirsi ad un regolare complesso monastico di tipo benedettino.
Una seconda idea porta a considerare i nomi degli ordini come abbastanza interscambiabili, anche per studiosi di altissimo livello.
Spinelli lamenta, infatti, la genericità di studiosi insigni.
Riferendosi all’abbazia di S. Eufemia Lamezia, dice: “il Garufi l’ha definita cluniacense, ma l’illustre studioso usava questo termine nel suo senso più lato, quello della storiografia di inizio secolo, che usava chiamare cluniacense tutto il monachesimo d’impronta francese che si diffondeva in Europa nel secolo XI e si chiamavano, così, benedettini cluniacensi, ma anche camaldolesi vallombrosiani, cistercensi”.
Insomma il primo monachesimo dopo gli arabi, nella Sicilia orientale, è una matassa aggrovigliata
Cerco allora nella ricchissima opera settecentesca in latino di Rocco Pirri.
Sul Monasterium Album, niente.
Ma bisogna tenere conto che questa denominazione la troviamo, nel 1343, come nome di una contrada.
E bisogna tenere conto che, a differenza di Paternò o di Adrano, Misterbianco non era ancora Misterbianco, era Catania.
Bisogna allora cercare un monastero di Catania.
Joannes De Agello Salernitanus eresse nel 1158 un cenobio Monachorum Cistercensium.
Troviamo la nota tra le ecclesie dell’area catanese.
Un monastero cistercense.
“San Bertoldo” – Michele di Matteo – tempera su tavola – cm 31,5×28,2 – anni successivi al 1461
Beato Bertoldo, rievocato con queste parole: “Sul monte Carmelo in Palestina, beato Bertoldo, che, soldato, fu ammesso tra i fratelli che su questo monte avevano abbracciato la vita monastica e, in seguito, eletto priore, affidò la pia comunità alla Madre di Dio”.
È il nostro? Molti elementi coinciderebbero
Non solo la cocolla bianca dei monaci, lo stile francese che troviamo anche nella cappella medievale liberata dalla lava e che caratterizza le costruzioni Cistercensi, il fatto che questi monaci costruivano vicino ai fiumi e che qui prima del 1669 passava un fiume, poi ricoperto dalla lava.
Ma Rocco Pirri del monastero dice anche: ora SS. Trinità.
Insomma sembra rimandare al monastero catanese della SS. Trinità, che poi fu in via Vittorio Emanuele, dove ora sorge il liceo Boggio Lera.
Niente di fatto.
Occorre cercare ancora.
Il Monasterium Album: un minuscolo ” alveare” di cellette di anacoreti o cenobiti mendicanti intorno a una cappella?
Per il monastero dell’antico Misterbianco verrebbero in mente i Carmelitani, per la loro centralità al culto di Maria, per i loro insediamenti “leggeri” in cellette intorno a una cappella, per il loro legame con la tradizione ascetica di cui sant’Antonio Abate è un elemento centrale, per i loro legami con gli ordini mendicanti francescani e domenicani.
Nei Riveli, all’Archivio di Stato a Palermo, abbiamo trovato tracce documentate di monasteri nel casale e tracce interessanti per capire anche la dislocazione nei luoghi.
I Riveli sembrerebbero documentare due conventi
C’era nel 1639, a Misterbianco, un’abbazia di S. Giuliano.
Il monastero di cui parlano i documenti del Trecento, potrebbero essere state le cellette carmelitane addossate alla cappella medievale dedicata già alla Madonna, l’insieme era appunto “l’Ecclesie Sancte Marie de Monasterio Albo”.
La chiesetta diventa, nel corso dei secoli, la grande chiesa rinascimentale, annessa alla cappella e nell’ambito di una ristrutturazione urbana, per cui si allargano e rinominano le vie.
Le case dei pochi carmelitani si spostano nella zona interna alla città che troviamo come Quarteiro del Carmine, in quella che sarà chiamata Contrata del Carmine.
San Giuliano e Case dei Carmelitani sono, dunque, la stessa cosa
Papa Innocenzo X istituì nel marzo del 1649 una commissione per la soppressione dei piccoli conventi degli ordini mendicanti: negli elenchi di soppressione, riportati da Emanuele Boaga e che la Congregazione sullo stato dei Regolari invia al Procuratore dei Carmelitani, è citato il convento di San Giuliano a Roma, tra i carmelitani.
Proprio nelle pagine in cui è elencato anche Misterbianco.
Ma perché la soppressione?
Boaga riporta le “voci” circolanti: “la moltitudine dei religiosi era tutta a discapito del clero secolare e sarebbe stato un bene cercare di aiutare i seminari diocesani con i beni in possesso agli Ordini Mendicanti, come anche trarre da questi beni nuove prebende a sostentamento del clero secolare.”
Nelle Relazioni “AD LIMINA” della Diocesi di Catania 1595 – 1890 , Marco Antonio Gussio, per gli anni 1650 – 1660, dopo aver elencato chiese, messe e cappellani, di Misterbianco, dice: “C’è una sola casa religiosa di Carmelitani con cinque frati e una sola compagnia laicale del Santissimo Sacramento in una Cappella Propria della Chiesa Madre.”
I nostri cinque carmelitani, che troviamo nei documenti diocesani, non sappiamo cosa fecero; ma forse con l’abito o senza l’abito scesero giù con la colata dei profughi, quando dovettero andar via anche dal loro paese sommerso dalla lava.
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NB: ASP T.R.P. Riveli b. 1316 del 1624 e del 1607 sono stati utilizzati su concessione del Ministero per i beni e le attività culturali. Gli originali si trovano presso la Soprintendenza archivistica della Sicilia – Archivio di Stato di Palermo; copie all’Archivio Storico di Misterbianco.