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on solo gelsi e non solo seta. In Sicilia si diceva: “passau li guai do linu” (ha passato i guai del lino) per indicare l’enorme fatica a lavorarlo.
Storia del lino - Firmata e datata G. Omiccioli 1955 - Tempera su carta cm 22x42

Storia del lino – Firmata e datata G. Omiccioli 1955 – Tempera su carta cm 22×42

Il reddito e i beni delle famiglie

I Viceré emanarono bandi nel 1606, 1616, 1623, 1636, 1651.

Di essi c’è la documentazione per ogni famiglia di ogni agglomerato urbano.

Ogni comunità aveva una quota attribuita che avrebbe dovuto essere redistribuita tra tutti gli abitanti, tenendo conto del reddito di ognuno.

Per fare ciò era necessario avere le dichiarazioni dei beni posseduti, da cui l’esigenza del sistema dei Riveli.

E’ un materiale documentario enorme, capillare e omogeneo.

Permette, sapendo leggere i dati, incrociandoli e inserendoli nella trama più vasta della storia europea, di delineare un quadro sulla condizione economica e sociale dall’epoca.

Colture e animali: non solo gelsi

E’ possibile farsi un’idea concreta di come era l’abitato di Misterbianco, cosa vi facevano i suoi abitanti, di cosa vivevano, cosa possedevamo e quanto valesse, quali generi alimentari venivano consumati, quali erano le colture diffuse oltre ai gelsi  e quali animali allevassero.

Immergendosi nella lettura emerge un mondo vivo e in movimento, brulicante di attività, di personaggi e spaccati di vita vissuta.

Il casale di Misterbianco, che nel 1639 conta 3.656 anime, era un borgo importante se confrontato con i Casali vicini.

Non era isolato, si trovava a poco più di due ore di cammino dalla Città.

Intratteneva relazioni continue con il circondario, era aperto agli scambi finanziari e commerciali con i Casali vicini e con la Città di Catania.

L’ambiente urbano

L’antico Misterbianco non era costituito da case sparse né aveva l’aspetto di un piccolo villaggio, ma di un borgo rurale.

Un centro fatto da case per lo più terrane, ma anche da case a un piano, di case con cortili, cisterne, qualche palazzetto, molti magazzini, botteghe, botteghe di vino, trappeti per l’olio.

Le costruzioni erano ordinate in un sistema di vie pubbliche e quartieri, in soluzione di continuità con orti, giardini, vigne, terreni alberati, chiuse alberate e distese di sciare.

Telemaco Signorini, La raccolta delle olive (1862-1865 circa; olio su tela, 51,3 x 36,2 cm; Bari,
Pinacoteca Metropolitana Corrado Giaquinto)

Donne e uomini vivevano a stretto contatto con le loro terre e con i propri animali

Dai documenti si delinea una società agricola che si organizzava attorno al lavoro dei campi e dell’allevamento, in cui le donne e gli uomini vivevano a stretto contatto con le loro terre e con i propri animali.

Una società contadina che si organizzava anche in altre professioni: commercianti, bottegai, mastri artigiani manifatturieri.

Una società con molti strati sociali

Nell’antico Misterbianco la società era articolata, complessa e con molti strati sociali e condizioni economiche differenti: c’era chi abitava in case da 2 onze e chi in case da 150 onze.

Tra i residenti del Casale vi erano servi, garzoni, braccianti, mastri, contadini proprietari, allevatori, bottegai, droghieri, medici e notai.

Ovviamente non distribuiti in egual numero.

Ricchi e poveri anche allora

Semplificando, esistevano:

-i poveri, gente che viveva alla giornata, nullatenenti, quando le cose andavano bene o con debiti, quando non riuscivano a guadagnare il necessario;

-il popolo minuto ossia artigiani, bottegai, braccianti con un patrimonio molto modesto;

-una fascia di ceto medio o ricchi possidenti, proprietari di terra o di immobili.

Le colture più diffuse erano: le viti, il frumento, l’orzo, il lino

Si coltivavano anche fave, lupini, ceci e dal 1624, vengono censiti anche gli alberi di gelso, che grazie alle fronde assicuravano una buona rendita.

Del lino si parla in moltissimi documenti.

Era un’attività economica prevalente che nei suoi tanti passaggi prevedeva lavori maschili e femminili e con i suoi prodotti finali, il corredo delle figlie, era anche un simbolo di benessere sociale.

Il lino era coltivato e lavorato lungo il fiume, l’Iudicello, l’Amenano.

Si seminava a novembre, per San Martino.

A metà maggio, prima della raccolta delle fave, era già fiorito.

Terminata la lavorazione del grano, in agosto, era trasportato al fiume.

Bernardino Luini o scuola, Madonna con Bambino o Madonna del grappolo d’uva,
(particolare), secolo XVI, tavola, 82×64,5 cm

Il valore inestimabile del lino

E poi, mille passaggi: la macerazione, l’asciugatura, la spatuliata, la cardatura, la filatura, la tessitura, i ripetuti lavaggi, altre asciugature  fino al ricamo.

Per tutto ciò, occorrevano almeno due anni e anche per questo, il tessuto aveva un valore inestimabile.

In Sicilia, si diceva: “passau li guai do linu” (ha passato i guai del lino) per indicare l’enorme fatica a lavorarlo.

Da questa lavorazione, i misterbianchesi cominciarono a chiamare anticamente un luogo e i suoi abitanti: i lineri o lineroti, cioè chi lavorava il lino.

Da quest’appellativo prende il toponimo “Lineri”.

Le case dell’antica Misterbianco erano case dei gelsi, inserite nella produzione della seta

Gli alberi di gelsi si trovavano spesso dietro le case, accanto ai pollai, a volte davanti la porta, negli orti o nella vigna.

Le “case dei gelsi ” erano le abitazioni dove le donne praticavano il nutricato e allevavano i bachi già dalla fine di marzo; compravano in paese, da un venditore addetto, i semi di bachi.

Le uova dovevano essere tenute in caldo, quindi venivano messe in bianchi panni per covarle al tepore del seno: iniziava così la gestazione delle uova.

Il silenzioso lavoro delle donne si svolgeva con assoluti sacrifici, si era disposti anche a dormire per terra per lasciare spazio ai graticci dove venivano posti i vermi.

Finito il nutricato il verme iniziava ad imbozzolarsi, muovendo la testa come se disegnasse un otto, emetteva una sottilissima bava che si solidificava a contatto con l’aria.

I gelsi e il ciclo della seta

La trattura della seta in Sicilia era un lavoro riservato esclusivamente agli uomini, il lavoro delle donne nasceva e si concludeva tra le mura domestiche.

La seta sin dal xv secolo, era una delle risorse principali del Val Demone, una delle tre valli in cui amministrativamente era divisa la Sicilia e che comprendeva tutti i territori della fascia nordorientale e ionica, da Termini a Catania.

Essa era il prodotto del ciclo di produzione della “gelsibachicoltura”.

Intorno ai gelsi e alla produzione della seta orbitava un mondo

Tutti erano coinvolti:

-il contadino che raccoglieva le foglie dei gelsi per nutrire i bachi

-la donna che covava in seno i piccoli vermi che avrebbero prodotto la preziosa bava

-il proprietario terriero che se ne accaparrava la produzione

-l’ artigiano che la trasformava in filati e tessuti

-il mercante che la commerciava allo stato grezzo

La seta prodotta prima del 1642, quando ancora Misterbianco era territorio demaniale di Catania, veniva estratta nella città che vantava la produzione di pregiati drappi.

Dopo il 1642 il Casale di Misterbianco, separatosi da Catania, poté estrarre la seta nella propria Terra

Molti abitanti possedevano animali per sostentamento familiare o animali da tiro e da lavoro, asini, buoi d’aratro, giumente, cavalli.

Confrontando i numeri dei capi di bestiame posseduti è facile trarre che molti allevassero animali, molti fossero pecorai, pastori o allevatori di vacche e vitellini, maiali e maialini, agnelli, capre e capretti, castrati.

Acquisti fatti “a pagherò”

I riveli forniscono materiale anche per affrontare un’altra peculiarità della società agricola dell’epoca che si reggeva grazie a una pratica diffusissima di debiti contratti e ancora da pagare, di acquisti fatti a pagherò.

Comprare a debito era normale in una società che si reggeva sui tempi delle colture e delle stagioni.

In un rivelo si trova chiarito espressamente, da Decla Santu Nucito, che la ragione per cui deve 2 onze a diverse persone è “perché, a minuto, ho preso tanta roba”.

Nel rivelo di Domenico Caruso lo stesso dichiara di aver contratto un debito per acquistare un cavallo.

La colata lavica: distruzione e rinascita

Dal confronto diacronico tra i Riveli si osserva la crescita del paese per tutto il secolo XVII.

Rispetto ai Riveli del 1607 e del 1624  si trovano più botteghe, più botteghe commerciali, mercieri, fabbri.

Ma la crescita sia demografica che sociale si arresta bruscamente dopo la colata lavica del 1669.

Fu un evento che distrusse del tutto le strutture abitative e produttive e che sconvolse la geografia del Casale e richiese la riedificazione materiale in uno spazio libero e nuovo.

Nel bando successivo del 1681 il paese è dimezzato passando da 3.656 a 1.333 anime e ci vorrà un secolo per ritornare alla popolazione del ’600.

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NB: ASP T.R.P. Riveli b. 1316 del 1624 e del 1607 sono stati utilizzati su concessione del Ministero per i beni e le attività culturali. Gli originali si trovano presso la Soprintendenza archivistica della Sicilia – Archivio di Stato di Palermo; copie all’Archivio Storico di Misterbianco.